Visualizzazione post con etichetta sfogo.. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sfogo.. Mostra tutti i post

mercoledì 9 novembre 2011

"No name"

Sono ancora qui, ancora davanti ad un foglio bianco.
Non posso farci nulla, è una maledetta patologia la mia.
Perdo tempo.
Avrei da fare un sacco si cose: studiare, scrivere due articoli entro venerdì, completare altri racconti per dei concorsi interessanti, farmi la doccia, tagliarmi i capelli, pagare due bollette, lo stesso per le tasse universitarie, portare il cane dal veterinario, scrivere un monologo per un cortometraggio e vattelappesca.
Dovrei anche andare a letto: se continuo così divento pazzo o alla peggio ci resto secco.
Dovrei sì, ma in realtà non ce la faccio, lo vorrei tanto ma non ce la faccio davvero.
Potrei nascondermi dietro la scusa del tempo che non c'è, del lavoro, ma siamo realisti per una minchia di volta: sono instabile.
Provo, mi sforzo, mi gratto la testa ricciuta, accendo una sigaretta, mi premo gli zigomi per svegliarmi, mi gratto le basette e la barba incolta, mi scaccolo e poi mi tolgo le scarpe.
Parto con la buona intenzione di fare un qualcosa di costruttivo insomma, di riscrivere gli appunti della lezione, di scrivere il monologo o un racconto di senso compiuto fino alla fine e non le mie solite stronzate di sempre che non hanno né capo né coda.
Ci provo, ma cado nel vizio.
Mi piace sedermi e scrivere la prima parola che mi viene alla mente, legarcene un'altra e poi un'altra ancora per completare un discorso.
Aggiungere un discorso ancora, descrivere un personaggio, un paesaggio, l'emozione di una situazione, ricordare ed inventare un'altra vita tutta nuova.
Il foglio bianco che supplica di essere impiastricciato, che non pone limiti, che vuole un personaggio scritto sul petto, una storia da mostrare soddisfatto alla corte dei fogli scarabocchiati, non riesco a non ascoltarlo, le sirene del buon vecchio Ulisse erano una pippa al confronto.
Un foglio bianco sul quale viene scritta una storia, è come un giovane che trova la sua personalità.
É questo il punto d'incontro tra la mia anima e il mondo.
Godo mentre scrivo.
La felicità è lì, scoprire me stesso in parole senza senso.
La mattina però, se non ho fatto quello che avrei dovuto fare, mi guardo allo specchio e mi sento in colpa, mi sento un fallito, un codardo, un cane con la lebbra, la personificazione della merda.
Io sono uno che ha i preconcetti, non riesco a non incazzarmi per certi comportamenti o modi di vivere, è più forte di me, voglio vedere sempre il bello e che sia come dico io.
Non ha senso, sono troppo bastardo anche con me stesso, riseco a bastonarmi anche quando dormo per come dormo.
Vivo nel paradosso, nella testa ho l'idea di ciò che dovrei fare e come dovrei farlo, ma poi in realtà nulla coincide, nulla combacia, nulla riflette ciò che avevo in mente. Giudico me stesso per l'incapacità di raggiungere i fini preposti e l'inefficacia del metodo utilizzato.
Non ce la faccio, casco sempre davanti ad un foglio bianco per andare nel mondo che mi piace e dimenticare tutto.
Forse è come mettere la testa sotto la sabbia, come mettere il mantello invisibile, come evaporare, come il perdersi nell'etere del fumo di una sigaretta qualunque.

La musica è al giusto volume, è una buona musica, la luce punta dritta sul foglio, la boccia è senza tappo e ne godo l'aroma annusandone semplicemente il collo, gli occhi sono socchiusi, la sigaretta è nella mia mano, la mia anima esprime se stessa nella collana di parole che velocemente vado componendo.
È un piacere.
Perché vendersi a quella parte bastarda di me che mi chiede di rispettare certe scadenze, certi temi, certi fottutissimi argomenti?
Perché forse è l'ora di crescere?
Perché la realtà è più potente della fantasia?
Perché la ragione è fredda e pone limiti e non va d'accordo con la fantasia che invece è calda ed indefinibile?
Che cazzo è allora la vita, in che modo deve essere affrontata, a quale parte di noi dobbiamo dare retta.
Chi aveva ragione, gli epicurei o gli stoici?
Non ne ho idea e vado a letto.
Ne ho un dannato bisogno.

giovedì 20 ottobre 2011

"Sbagliati schieramenti."

Sì, è vero, la colpa è di chi crede che tutto sia come si manifesta e che tutto vada maledettamente bene.
Bastardi.
È colpa loro, dei dannati, ne ho la certezza.
Si sono arresi ed inconsapevolmente godono sapendo che anche tu sei ad un passo dalla resa.
Ma loro non lo sanno, sono ignorati, e si masturbano con l'idea che potresti passare dalla loro parte anche se non sanno di appartenere a qualcosa, di essere identificati con una “parte” e di essere un club con tanto di logo registrato.
Sborrano perché un qualcosa li eccita enormemente, perché sentono nell'aria che qualcuno è vicino, che qualcuno si unirà a loro.
Sembra ieri che pensavo a come poter alzare bandiera bianca, con quale mano alzarla, con che smorfia presentarmi all'ingresso del loro circolo, come vestirmi.
Mi avrebbero accolto con baci e pacche sulle spalle, offrendomi da bere, facendomi spazio sul loro divanetto in pelle d'elefante.
I bastardi sono cordiali, gentili, altruisti e senza dubbio possessori di un grande senso estetico.
Sicuramente avrei bevuto roba strepitosa dal retrogusto esotico, servita in appositi calici in cristallo lucente.
Una volti entrati, non se ne esce, è più forte di una qualsiasi cazzo di droga, dall'eroina ne esci ma da lì non si può.
La morte è l'unica soluzione.
Provo pena per loro perchè si sono arresi.
Nessuno ti obbliga a restare, sei tu che dimentichi tutto e credi che quella che stai vivendo sia la realtà.
Non provare a dire loro che tutto non è come sembra, che sono illusi, che stanno sbagliano: diventano cattivi e mostrano i denti come i lupi affamati.
Non ti sbraneranno: sono moralmente contro la violenza e la disprezzano fermamente.
Con la birra vecchia sulla scrivania, il lapis in mano e gli occhi stanchi, difendo la mia parte, la parte di chi non ci sta, di chi non si accontenta, di chi non è illuso.
Ma poi tutto volutamente si contraddice, le virgole diventano punti e le A, diventano Z.
Si mischiano le carte, si cambia il panno sul quale si giocava e chi ha sempre barato ha due assi in tasca restando dunque fedele a se stesso.
Fondamentalmente siamo tutti vittime, noi e quelli del club, chi bara fa finta di giocare e ci sfotte ridendo sotto i baffi.
Ma io non ci sto, e manifesto il mio disappunto con le parole di questo scritto.
Uccidiamo il baro.

sabato 10 settembre 2011

"Refait surface."


M'accollo le colpe per le questioni irrisolte.
Lo capisco e l'accetto.
Ma non è tutto, c'è un qualcosa di universale a farmi maledettamente male.
Sudato, con i piedi che mi lacrimano sangue, le mani lessate e la fronte corrugata, concludo questa mia giornata.
Coltelli affilati, vetri rotti, spine bramose di graffiarmi l'addome e selciato lastricato di pietre appuntite.
Eccola la strada nella quale mi trovo.
In molti si sono arresi,
eccoli là nella fossa,
son tutti morti con la testa rotta, fracassata, sbattuta, putrefatta e mangiata da cani randagi, uscita sotto forma di merda dagli stessi cani che adesso si grattano il culo strusciandolo a terra.
Menestrelli sdentati, esultano con gioia al ritorno del dolore.
É tornato, ma credo che non se ne sia mai andato, era nascosto nelle mie viscere, pronto a farsi vivo quando meno me lo sarei aspettato.
Eccolo che è tornato.
Sono costretto a saltare di palo in frasca, oggi c'è burrasca.

sabato 25 giugno 2011

"Stasera esco".


Con il suo andamento blando e lacerante, la vita si conferma profondamente insoddisfacente.
Il lavoro, è stancante perché monotono e ripetitivo.
Conosco i gusti di tutti, il perché di certe scelte e le quantità necessarie ad ogni cliente.
Ma: “senza lavoro non si mangia”, siamo obbligati a lavorare, per dirla con mio nonno.
In giorni come questo, mi chiedo perché il mondo non risponda alle mie esigenze, il perché devo essere sempre io a piegarmi e non lui.
Mi stampo in faccia un finto sorriso del cazzo, maschera che copre la mia profonda delusione, e affronto ormai meccanicamente la mia stupida giornata.
Mi manca costanza, non Costanza la mia cugina che vive in California, ma la costanza nel fare le cose, nell'affrontare giorno per giorno un percorso che poi in fin dei conti non ha un maledetto traguardo.
Lo dice sempre mia madre, tu non hai costanza.
Fanculo alla costanza immateriale e quella grassa di mia Cugina.
Per un certo periodo, lo ammetto, sono stato stupidamente bene, affrontavo la vita come veniva e senza darle troppo peso.
Avevo i miei obiettivi davanti, mi sembrava di toccarli: pubblicare i miei racconti, mettere via un po' di soldi per iscrivermi all'università etc.. etc..
Ora non li vedo, la strada sembra avvolta da una fitta nebbia.
Sarà il caldo, i miei vestiti che in questo torrido sabato sera puzzano di soffritto di prezzemolo e aglio, ma la vita mi sembra un vile gioco di dati in cui vinci se sei solo un cazzone fortunato.
Mi sento un perdente, quale sarà il mio ruolo su questo pianeta malato non lo so.
Lo scrittore, questo vorrei fare, anche se vedo sotto a quei tuoi stupidi baffi un ignorante sorriso di disprezzo.
Utopie, un giorno vivevo di loro.
Oggi mi sento minuscolo in un mondo di giganti.
Forse, è perché ho smesso di fare yoga, o perché ho solo voglia di fare l'amore.
Il fumo esce denso dal mio naso, questa lampada comprata da Ikea sembra osservare curiosamente il mio sfogo.
No lampadina, questa non è una poesia o un racconto, questo sono io.
Ora mi faccio una doccia, esco, compro un pacchetto di Marlboro rosse e affogo la mia tristezza in una notte di stelle alcoliche.
Non rileggo il post, amo i miei errori ortografici da terza elementare.

Buon sabato sera a tutti.